VEDOVA ALLEGRA A TRIESTE: DANIELA MAZZUCATO E’ MILA THEREN

 

Recensione di La Vedova Allegra in Concerto, rivisitazione storica del debutto al Teatro Filodrammatico di Trieste nel febbraio 1907 della famosa operetta di Franz Lehár in scena al Verdi di Trieste il 3 giugno 2023

 

Il comune di Trieste, la Fondazione del Teatro Verdi e l’Associazione Internazionale dell’Operetta Friuli Venezia Giulia, ripropongono, dopo anni di pausa forzata, il Festival dell’Operetta, con Il Paese dei Campanelli’, dall’11 al 18 giugno ; ‘Orfeo all’Inferno’, dal 30 giugno  al 9 luglio ed il titolo  iniziale: ‘La Vedova Allegra’, proposta in forma di concerto.

Presenza costante come interprete, regista unico ed autore della revisione dei testi : Andrea Binetti, la cui tenacia, determinazione e assiduità nel difendere e promuovere l’Operetta sono meritorie e si sono dimostrate fondamentali in questi anni.

Binetti è una sorta di istituzione,  con un suo pubblico che lo segue fedelmente, che ha gremito il teatro nell’unica replica di ‘Vedova Allegra in concerto’, apprezza ogni mossa, ride delle battute, addirittura applaude alla sua entrata in scena, come avveniva per l’avanspettacolo qualche decennio fa.

Certamente  è  una di quelle figure che dividono i pareri: a seconda del gusto di chi guarda può risultare carismatico o fortemente gigione; avere ancora una voce notevole o gonfiare esageratamente i suoni; essere il motore dello spettacolo o risultare prevaricante sugli altri interpreti; essere divertente o scontato; ammiccante o prevedibile e scontato.

Fuor di dubbio che il suo ruolo per mantenere l’attenzione su questo genere è stata fondamentale e che questo Festival che rinasce sia una sua vittoria, oltre che di tutte le istituzioni che lo sostengono.

Se  l’iniziativa, come speriamo, decollerà nella giusta maniera, forse sarà importante operare delle scelte per capire quale possa e debba essere il taglio da dare in futuro alla rassegna,

Il teatro ha bisogno di pubblico, i festival di ragioni culturali. Trovare il giusto equilibrio fra i due estremi sarà complesso ma sicuramente offrirà una chiave vincente.

Scegliere come titolo inaugurale la ‘Vedova Allegra in concertolascia spiazzati e trovala sua motivazione nella volontà di celebrare la prima edizione  triestina di questo titolo, avvenuta nel 1907 al Filodrammatico.  Quello cui abbiamo assistito non era l’operetta di Lehar, che peraltro era presente fra i personaggi in scena, interpretato da un credibile Gualtiero Giorgini , ma un racconto con brani della partitura, che incrociava la  storia di  Hanna Glavary con il racconto della vita della cantante Mila Theren.

Una sorta di  amena selezione di brani infarcita, come costume dei recenti lavori di Binetti, di interessanti informazioni storiche ,

In questo modo il titolo di Lehar risultava sostanzialmente unacitazione, all’interno di un piacevole documentario con musica, non il fine ma il mezzo della messa in scena.

Prima di ogni considerazione, diciamo subito che se il valore di uno spettacolo è dato dagli applausi, siamo davanti ad un trionfo.

Acclamazioni, addirittura dei bis concetti con generosità, ‘bravo’ gridati con pimpante  convinzione.

In realtà sono molti i distinguo da fare. 

La regia aveva collocato sul palcoscenico, animato da proiezioni con documenti storici e fotografie d’epoca : orchestra, coro, ballerini, interpreti, arredi scenici.

Tanta presenza non ha sicuramente facilitato l’equilibrio sonoro della serata, perchè spostare le masse non è mai un trasferimento meramente fisico.  

Vuol dire mutare le condizioni di ascolto, sia in sala che sul palcoscenico; significa rendere più fragili dal punto di vista emozionale gli organici;  vuol dire anche banalmente cantare con il Maestro alle spalle, perdendo indicazioni ed attacchi, oppure cantare dando le spalle alla sala. Non è sembrata particolarmente appassionata la direzione di  , che ha guidato una orchestra spesso sovrabbondante nei suoni e che pareva non particolarmente coinvolta.

Sicuramente ci sono stati momenti in cui il suono dell’orchestra, diretta da Romolo Gessi ha penalizzato l’ascolto delle voci, alcune decisamente interessanti, peraltro costrette a cantare in posizioni non sempre fortunate acusticamente.

Il coro, diretto da Paolo  Longo, lontanissimo dal boccascena, in alcune occasioni è sembrato forzare i suoni, forse temendo di non essere udito.

In generale, per tutti, la sensazione è che qualche prova in più avrebbe aiutato una più brillante riuscita musicale della serata.

Lo spettacolo  prevedeva nell’affollatissimo boccascena anche due coppie di ballerini, presenze volenterose, ma certo non fondamentali alla narrazione.

Le coreografie di Noemi Gaggi in sostanza risultavano riempirelo spazio con vistosi movimenti, che rinunciavano alla sincronia preferendo l’articolazione e che in alcuni momenti, come inVilja, distraggono dall’intensità narrativa.

Se si voleva rendere comprensibile la storia, notissima, forse sarebbero stati più utili i sovratitoli  ed una ambientazione rarefatta, ma anche questa considerazione rimanda al dualismo di di cui parlavamo prima e che non ha una risposta definitiva.

Gli interpreti sono tutti molto impegnati  e motivati.

Alessio Colautti è un piacevole Njegus, amato dal pubblico triestino, ricco di magnifici tempi scenici, che gli permettono di suscitare sorrisi divertiti con eleganza ed ironia, evitando giustamente facili effetti e cadute di stile.

Gillen Munguia è stato un elegante Camille de Rossilon.

Voce interessante, anche se con qualche suono arretrato, ha dato prova di  riuscire a gestire il palcoscenico con professionalità, nonostante la comprensibile emozione , anche grazie alla buona intesa con Federica Vinci, cantante dall’interessante vocalità, colori notevoli e marcate capacità sceniche. Deve lavorare sul suono, che comunque ha dovuto duellare con i volumi orchestrali strabordanti e con la complessa acustica dello spazio scenico , ma ha saputo costruire un personaggio autentico, gradevole e mai scontato, più malinconico che frizzante, molto coinvolto non solo nei pezzi musicali ma in tutta la vicenda.

Selma Pasternak era Hanna Glavari , che la regia ha chiamato più a cantare che a costruire la parte, perché di fatto la narrazione era monca di molti passaggi determinanti a tratteggiare la giovane vedova. Affronta con determinazione le arie a lei affidate, raccogliendo il plauso della sala, e superando le difficoltà della partitura.

Andrea Binetti, riaffermato il valore della sua tenacia, ha evidenziato una tendenza a caricare il suono puntando ad una vocalità possente che ha entusiasmato i  suoi fan che gli tributano grandi applausi, piuttosto che soffermarsi su un attento lavoro su colori e sfumature, che avrebbero sicuramente valorizzato l’atmosfera raffinata di ‘Tace il labbro’ , che è andata un po’ perdendosi e che sarebbe stata invece ampliata da un garbato canto a fir di labbra.

fosse stato a fior di labbra invece che così muscolare o se, addirittura, ci fosse stato il coraggio, visto che comunque in questo spettacolo di filologico non c’era nulla, di fare un passo indietro e cedere la parte a Cosotti, facendo si che la Poesia entrasse a far parte della serata.

Max Renè Cosotti ha regalato una prova di grandissimo valore. Perfettamente in parte, un po’ in difficoltà fisicamente,  avevasaputo sublimare gli acciacchi, trasformando quello che per un altro sarebbe stato un impedimento in un punto di forza del suo Barone Mirko Zeta, personaggio che il glorioso tenore ha saputo indossare come un guanto, cantando con sicurezza la parte, mostrando ancora un apprezzato controllo della voce, un suono sicuro ed un uso sapiente del diaframma.

I tempi comici di Cosotti sono una lezione di teatro. Gli sguardi, gli accenni, l’uso dei toni della voce  nella recitazione, la capacità di entrare con le battute in maniera mai scontata hanno entusiasmato.

Rimane Daniela Mazzucato, che ha superato i sessant’anni di carriera, avendo esordito come genietto, poco più che bambina, in un ‘Flauto Magico’ alla Fenice nel 1962 e ci stupisce ogni volta.

In scena per tutto lo spettacolo, recitando la parte lunghissima di Mila Theren, imparata per  l’unica recita prevista,  è stata il vero motore della serata.

Sempre bellissima, credibile, partecipe, ha pesato ogni parola, riuscendo a dare spessore al soprano dei primi del Novecento.

Il suo  sorriso ha raccontato la superata paura di disordini alla prima triestina, i gesti misurati delle mani hanno tratteggiato l’imbarazzo del soprano a spiegare a Lehar che i patrioti montenegrini non avevano torto a lamentarsi, la misura nei movimenti ha mostrato bene quale sia la differenza fra colorato clamore ed eleganza.

Alla fine ha fatto quello che tutti aspettavamo: ha preso il posto della Pasternak ed ha cesellato dal par suo un indimenticabile ‘Tace il labbro’, inerpicandosi sul pentagramma incurante degli annidi carriera, con la voce tersa come un sole all’alba, che correva sicura e gentile in tutto il teatro.

Ha  raccontato di passione e dedizione, di sacrifici e sorrisi, di poesia e di amore, di misura e delicatezza.

Ha dato un senso all’esserci ritrovati ad ascoltare un ‘opera che non c’era. Siamo entrati pensando di ascoltare la ‘Vedova Allegra’, sia usciti ebbri dell’emozione di avere ricevuto una carezza dall’Arte vera.

Alla fine, tanti applausi, alcuni sollecitati dall’istrionico Binetti  ed il bis, eseguito mentre parte del pubblico usciva, di una caciarona ‘Donne  donne’, a sottolineare ancora una volta il dualismo di una serata che ha oscillato fra poesia sublime ed effetto festa paesana.

Apoteosi per la Signora Mazzucato.

Gianluca Macovez 

 

LA VEDOVA ALLEGRA IN CONCERTO
Una rivisitazione storica del debutto al Teatro Filodrammatico di Trieste nel febbraio 1907 della più famosa operetta di Franz Lehár

Ed. musicali: Suvini Zerboni (Sugar Music)
Spettacolo in collaborazione con l’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DELL’OPERETTA Friuli Venezia Giulia

 

Direttore ROMOLO GESSI
Regia ANDREA BINETTI
Coreografie NOEMI GAGGI

Personaggi e interpreti
Hanna Glawari SELMA PASTERNAK
Danilo Danilowitsch ANDREA BINETTI
Barone Mirko Zeta MAX RENE’ COSOTTI
Valencienne FEDERICA VINCI
Camille de Rossillon GILLEN MUNGUÍA
Njegus ALESSIO COLAUTTI
GUALTIERO GIORGINI nel ruolo di Franz Lehár
Con la partecipazione straordinaria di DANIELA MAZZUCATO nel ruolo di Mila Theren

Maestro del Coro PAOLO LONGO
Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

Vedova allegra- Trieste

Vedova allegra- Trieste

 

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