Storia dell’Opera: le scuole nazionali parallele.

Le Scuole Nazionali parallele

Non solo in Russia si assiste allo sviluppo in modo concreto e duraturo di una propria generazione di compositori, ma anche nei paesi confinanti si gettano le basi per la nascita futura di una propria scuola nazionale.

In Polonia, il più importante operista del XIX sec., è sicuramente Stanislaw Moniuszko (1819-1872). Le sue opere più famose sono “Halka” (1847) e “Straszny Dwor” (“Il castello stregato”, 1865). Sono lavori non privi d’interesse, sebbene certamente non originalissimi nel linguaggio, ancora dominato da un gusto legato all’opera occidentale.

Ha invece un rilievo maggiore la scuola musicale della Cecoslovacchia di cui Bedrich Smetana (1824-1884) rappresenta il grande capostipite. Smetana si cimenta nei vari generi operistici, da quello di carattere epico, “I brandeburghesi in Boemia” (1866), a “Dalibor” (1868) e “Libuse” (1872, rappresentata nel 1881), opere dagli esiti alterni e che subirono spesso gli attacchi di una certa critica che accusava Smetana di essere troppo wagneriano. È però nell’opera comica che Smetana ha raggiunto i vertici musicali più convincenti, a partire dal suo capolavoro “La sposa venduta” (1866), che si richiama in modo esplicito al retaggio del folclore musicale nazionale, fino a “Il bacio” (1876) e “Il segreto” (1878), opere nelle quali nonostante i libretti alquanto limitati, il magistero tecnico ed espressivo di Smetana ha raggiunto un notevole livello.

Antonin Dvořák - le scuole nazionali parallele
Antonin Dvořák

Con Smetana e soprattutto con Antonín Dvořák (1841-1904), entrambi boemi, la musica ceca conquista negli ultimi anni del XIX sec. un posto non meno rilevante di quello occupato dalla scuola russa. Potremmo anzi considerarlo più importante nella misura in cui questa musica, caratterizzata da un lirismo impetuoso e da un generoso slancio melodico, risulta facilmente accessibile ad un pubblico universale. Dvořák, sensibile al tardo romanticismo tedesco, e in modo particolare a Brahms, è noto soprattutto per le sue composizioni cameristiche e sinfoniche. Nel campo del melodramma, la componente sinfonica di Dvořák appare alquanto evidente. La sua opera più nota è “Rusalka” (1901) ancora oggi la più diffusa del repertorio lirico ceco assieme a “La sposa venduta”. In essa Dvořák infuse, attraverso la vicenda dell’ondina, quegli accenti di esaltazione della natura e della bellezza che erano dominanti nella sua anima. La Rusalka, rievoca un po’ lo stile wagneriano: la musica è continua e l’orchestra sempre presente, un amalgama continua tra i colori orchestrali e le melodie in stile popolare, con riferimenti al cromatismo wagneriano e un canto in stile italiano che ritroviamo ad esempio nel famoso duetto tra lo spirito dell’acqua Rusalka e il suo amante mortale.

Zdeněk Fibich -le scuole nazionali parallele
Zdeněk Fibich

Altri autori degni d’interesse sono Zdeněk Fibich (1850-1900) e Josef Bohuslav Foerster (1859-1951). Fibich fu un grande sostenitore dell’operismo smetaniano, ma anche della riforma drammaturgica wagneriana che non gli fu certo di grande aiuto nella carriera. Fu solo con l’opera “Sarka” (1897), sviluppata attorno ai miti della storia ceca, che Fibich si conquistò i favori del pubblico, mettendo in luce uno stile appassionatamente romantico, ricco di inventiva e sensibilità che culmina nel grande duetto d’amore del II atto dell’opera, uno dei momenti più alti della storia dell’opera ceca. Di Josef Bohuslav Foerster si ricorda l’opera “Eva” (1899), il suo unico lavoro ancora oggi in repertorio nei teatri cechi. “Eva”, pur conservando un certo legame con le forme tradizionali (arie, duetti, ecc.), mostra un linguaggio moderno, con un cospicuo uso di Leitmotiv che spesso evoca colori locali.

In Ungheria il più celebre operista del XIX sec. fu Ferenc Erkel (1810- 1893); le sue opere “Hunyadi Laszlo” (1884) e “Bank Ban” (1861) sono state fondamentali per lo sviluppo dell’opera nazionale ungherese. Certo sono lavori che portano un’impronta che guarda all’operismo francese di Auber e Meyerbeer e che fa uso delle forme più tradizionali, cioè arie, cavatine, cabalette ecc., ma Erkel riesce a conferire un tono, una coesione ed un colore, prettamente ungheresi.

 

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