Padova: I Capuleti e i Montecchi di V. Bellini

Padova: I Capuleti e i Montecchi di V. Bellini

 

Al Teatro Verdi di Padova va in scena l’opera belliniana I Capuleti e i Montecchi.

Non convince l’orchestra e la sua direzione per tempi e scelte stilistiche.

 

 

 

Quest’opera, che debuttò alla Fenice di Venezia nel marzo 1830, vide luce in soli due mesi circa. Infatti, Bellini iniziò la scrittura della partitura a seguito di pressioni da parte del teatro veneziano, che inizialmente aveva previsto la messa in scena di un’opera di Pacini, ma visto il ritardo del compositore nel consegnare l’opera commissionata, l’impresario della Fenice chiese con insistenza a Bellini affinché fosse lui a scrivere l’opera da portare in scena nel marzo del 1830.

Bellini, all’inizio riluttante per i tempi strettissimi, non voleva, ma dopo l’incontro con il librettista Felice Romani, sempre a Venezia, prese corpo questa sfida e la accettò.

Fu proprio grazie a Romani che nacquero così I Capuleti e i Montecchi di Bellini in quanto, Romani propose lui di musicare il suo libretto di Giulietta e Romeo che era stato però musicato in precedenza da Nicola Vaccaj. E così, fatte le dovute modifiche al libretto, Bellini si immerse nella composizione della partitura.

I tempi erano strettissimi e prese spunto musicalmente da parti musicali di Adelson e Salvini e dalla sua Zaira, che non ebbe molto successo al suo debutto, ma che bene si adattava musicalmente a I Capuleti e i Montecchi, sia per drammaturgia che per esaudire quel lirismo cantato che l’opera necessitava.

Affidò il ruolo di Romeo al mezzosoprano en travesti che calzava nella parte del giovane innamorato, parte che per tutto l’Ottocento rimase invariata e che invece, nel Novecento in qualche occasione, fu affidata ad un tenore; per fortuna, oggi, si porta in scena l’opera come fu scritta da Bellini, con un Romeo en travesti.

Anche il finale dell’opera al suo debutto era un po’ diverso, infatti, già dal 1830 stesso fu cambiato con quello dell’opera del Vaccaj che meglio si adattava al protagonismo vocale femminile che l’opera stessa necessitava. Fu così che da allora per tradizione il finale venne sostituito.

Il soggetto di Felice Romani si rifà alla novella del Bandelli del 1554, che narra la storia dei due innamorati veronesi, è non, come erroneamente si pensa, alla tragedia di Shakespeare, che all’epoca del Bandelli non era ancora così conosciuta in Italia.

La messa in scena al Verdi di Padova è una coproduzione tra i teatri di Treviso, Rovigo e Padova per la Stagione d’Opera 2022. La regia affidata a Stefano Trespidi, le scene e i costumi di Filippo Tonon, la direzione d’orchestra al maestro Tiziano Severini, Orchestra di Padova e del Veneto e il Maestro del Coro Iris Ensemble è Marina Malavasi.

Tutto è incorniciato nella visione di Filippo Tonon, quasi a voler fermare e fotografare il tempo in cui si svolge la vicenda: la grande cornice dorata funge da sfondo, portando lo spettatore ad immaginare il quadro in continuo movimento nei due atti dell’opera; qui sono le luci, curate da Bruno Ciulli, a dare risalto ai personaggi ed alle situazioni in continua evoluzione. Ma non sfugge il particolare della cornice spezzata, quasi a simboleggiare il funesto finale che attende i due protagonisti. La fine di due vite, la fine di un amore travagliato che troverà la pace solo con la morte.

L’opera si apre all’interno della residenza di Giulietta, dove il padre Capellio avvisa i Capuleti di un possibile attacco da parte dei Montecchi.

Insieme a Lorenzo discutono su come difendersi da questo attacco. Poco dopo entra in scena Romeo, camuffato per non farsi riconoscere, come ambasciatore dei Montecchi chiedendo una pace tra le due fazioni e sugellandola con la richiesta di dare Giulietta in sposa a Romeo. Ma lo stesso non sa ancora che Giulietta è stata promessa già in sposa a Tebaldo.

Ecco che Romeo si rivela a Capellio; Entra anche Giulietta in scena, afflitta per essere tenuta reclusa in quella casa per preservare la sua vita.

Nel secondo atto Giulietta, non essendo scappata da casa come richiesto da Romeo, finge la morte bevendo una pozione. Romeo credendola morta si avvelena. Quando Giulietta si risveglia trova il suo Romeo morente ed alla fine anche lei si toglie la vita per restare uniti per sempre nell’aldilà.

Tra i protagonisti manca all’appello il mezzosoprano Chiara Amarù che è stata sostituita con Paola Gardina nel ruolo di Romeo; Giulietta è Francesca Pia Vitale; Tebaldo interpretato da Davide Tuscano; Lorenzo è William Corro’, e infine Capellio Abramo Rosalen.

Sul palcoscenico colpisce molto Abramo Rosalen per l’incisività della voce, robusta, sicura e penetrante. Il timbro è piacevole per il Tebaldo di Davide Tuscano, bella voce chiara, ma pecca per l’eccessivo vibrato che disturba un po’ la bellezza delle frasi lunghe. Stessa cosa potremmo dire per il mezzosoprano Paola Gardina che interpreta Romeo: anch’essa, con un vibrato molto accentuato, ha una voce chiara di timbro e le sue agilità ci lasciano molto perplessi. La resa non è delle migliori. Molto meglio la Giulietta di Francesca Pia Vitale. La voce è bella, fluida e curata. Belli i filati, e meno belli, anzi un po’ urlati, i due sovracuti stridenti per eccesso di impeto. Buona la prova di per il Lorenzo affidato a William Corro’.

L’Orchestra mostra parecchie difficoltà in questa partitura, sia per i ritmi serrati per i tempi e per gli equilibri sonori. La direzione di Tiziano Severini è improntata più verso un vecchio stile, cioè quello dei tempi lenti e respiri ampi ed eccessivi, tanto da intaccare la continuità e la fluidità del canto che, in Bellini, è cosa molto rischiosa, in quanto si cade facilmente nella frammentazione dell’opera che la rende pesante all’ascolto.

Molti gli intoppi che non sono passati inosservati: il comparto dei fiati è quello che ha avuto maggiori difficoltà, sia nell’equilibrio sonoro che nei fraseggi. Si evince chiaramente che l’orchestra non è abituata ad accompagnare l’opera lirica. Infine, anche il direttore non ha aiutato l’esecuzione che è risultata confusa e poco chiara.

La regia di Stefano Trespidi è di stampo tradizionale e non emerge un’idea innovativa ma una didascalica messa in scena in un periodo temporale non ben definito. Anche le luci di Bruno Ciulli potevano essere utilizzate meglio: tutto era improntato e pensato sulla penombra che in alcuni momenti non esaltavano i personaggi sul palcoscenico. Anche se semplici sono belli i costumi di Filippo Tonon che ben distinguevano le due fazioni rivali: i Capuleti in blu, e i Montecchi in bianco e oro. Solo Giulietta ha un abito bianco/crema, forse per sottolinearne la purezza.

Insomma, alla fine, il poco pubblico presente in teatro, ha applaudito gli artisti, tributando calorosi applausi al soprano Francesca Pia Vitale.

Bellini è difficile, e non è facile portarlo in scena.

Lodevole, comunque, la scelta coraggiosa del direttore artistico della stagione Federico Faggion. Personalità colta la sua, e grande conoscitore del mondo operistico che ogni anno si prodiga per aprire le porte del Teatro Verdi di Padova.

 

 

Salvatore Margarone

La recensione si riferisce allo spettacolo del 23/10/2022

 

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