Mefistofele a Piacenza dopo 53 anni.

Il Mefistofele di Boito ritorna al Teatro Verdi di Piacenza dopo 53 anni di assenza e viene accolto con un entusiasmo ben meritato.

 

Opera rara e di difficile esecuzione, questa, che richiede un cast di prim’ordine.

Cosa che non è mancata in questa produzione che può contare su una compagine vocale di giovani talentuosi.

Alla bacchetta  il M° Francesco Pasqualetti dirige con abilità e sentimento l’Orchestra Filarmonica Italiana ottenendo il meglio sia nella parte sinfonica, che costituisce il prologo e nella quale si riconoscono gli influssi Wagneriani, sia  nella concitata scena del Sabba, per poi svilupparsi in modo trascinate verso l’estasi dell’epilogo.

Da sottolineare la grandissima prova del coro composto da 60 elementi e frutto dell’unione tra il Coro lirico del Teatro Municipale di Piacenza e il Coro lirico di Modena diretti con grande maestria dal M° Corrado Casati.

Il coro risente in parte di una fissità sul palco  che gli impedisce di essere parte integrante di scene d’insieme, ma che gli permette di concentrarsi sulla partitura musicale particolarmente difficile e affrontata in tempi record. Il risultato è una linea di canto sempre puntuale e suggestiva.

Fornisce una buona prova anche il coro di voci bianche del Teatro Comunale di Modena diretto dal M° Paolo Gattolin, fatta eccezione per qualche imprecisione nel primo atto.

La regia di Enrico Stinchelli, che si occupa anche di scene e costumi, è senza dubbio grandiosa, imprime un ritmo veloce alla storia che si dipana così in modo fluente, rende pienamente godibile ed esalta le pagine dell’Opera esclusivamente strumentali, e riduce i tempi d’attesa tra un cambio di scena e l’altro immergendo lo spettatore in un’avventura continua.

Il tutto coadiuvato da un uso mirato delle luci e dai video di Angelo Sgalambro.

L’uso delle proiezioni in Teatro non è certamente nuovo ma di solito viene usato in modo parsimonioso per evocare atmosfere o ricostruire ambienti. La novità qui è rappresentata da uno svolgimento cinematografico della proiezione. A cominciare dal prologo in cui viene mostrato il mito della Creazione. Dalla nascita dell’universo a quella di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre.

Un gioco registico che funziona e da cui ci si fa catturare volentieri e che funziona soprattutto nella ricostruzione dei fondali: dal bosco, allo Studio di Faust fino ad arrivare all’evocazione della guerra di Troia tra macerie, incendi e il famoso cavallo regalo di Ulisse con cui fu possibile introdursi nella città per devastarla. 

Obiettivamente funziona un po’ meno quando, come nel Sabba, le immagini e i video sembrano rincorrersi  causando un effetto più distraente che funzionale.

In alcuni casi inoltre si crea un effetto di sovrapposizione delle immagini sui cantanti che appare un po’ fastidioso.

Per il resto la rappresentazione è tradizionale e segue il libretto in maniera quasi letterale. Prova ne sia il duetto del primo atto tra il vecchio Faust e il suo servitore Wagner che in disparte dissertano dei popolani e delle loro vacue danze.

E’ quella distanza fisica e morale che porta i due uomini a sentirsi diversi dagli altri e che rende Faust più propenso a cadere alla tentazione diabolica.

Un altro momento di grande impatto visivo è quando il vecchio Faust, dopo un giro su se stesso, ritorna giovane e, con un ampio sorriso, segue Mefistofele sul mantello volante costituito da un telo azzurro che ondeggia. I due avanzano verso il fondo del palco fino al calare del sipario.

Eccellente il reparto vocale a cominciare dall’ottimo Simon Lim nel ruolo del titolo. Voce profonda, timbro caldo, dizione perfetta e una grandissima attenzione alla parola. Un’interpretazione subdola, lasciva, tentatrice resa con gesti minimali e una mimica del volto esaustiva. Un Mefistofele estremamente misurato, lontano da atteggiamenti plateali. Per gusto personale mi sarei aspettata qualcosa di più dal Diavolo ma a vedere bene pare l’ esatta personificazione del Mefistofele descritto da Boito che lo vuole: “… Pervaso da una perenne rabbia soffocata che si palesa in sarcasmi, in sogghigni, sotto un’apparenza di freddezza glaciale e d’indifferenza.”

Lo affianca il Faust di Antonio Poli al suo debutto nel ruolo. Voce ben proiettata e ben costruita forte di un bel timbro e con una buona gestione nel registro acuto.

Manca ancora la maturazione del personaggio che risente di una eccessiva fissità in scena e un atteggiamento che rimane superficiale incapace di rivelare tutta la sua complessità e tutta la sua passione.

Quella passione che invece pervade il giovane soprano Marta Mari, al suo debutto nell’Opera, e che la fa svettare su tutti.

Esemplare nel delineare i due personaggi femminili protagonisti, agli antipodi l’uno dall’altro: La giovane e ingenua Margherita che cade vittima del suo amore per Faust, e Elena di Troia, bella tra le belle, icona dell’eterno femminino.

 La sua voce risuona sempre chiara, agile, ricca di armonici e di espressività.  Domina nella scena del carcere con un’immedesimazione nel ruolo davvero superlativa ed emozionante.

Dà significato profondo ad ogni parola. Dispensa al vuoto occhiate ora tristi, ora disperate, accompagnate dai movimenti ritmici e compulsivi tipici di chi ha perso la ragione. Abbraccia con amore disperato il suo bambino. Lo bacia, lo accarezza, finché lasciandolo cadere non rivela che l’oggetto del suo amore è solo un cuscino. Il suo bambino è morto. Ucciso. Da lei stessa. Come afferma quasi con sfida nel dialogo con Faust in un raro momento di lucidità fino a rinunciare alla fuga con il suo amante, riconoscere in Mefistofele il diavolo, e ottenere il perdono di Dio.

 Nel quarto atto si trasforma completamente per diventare la bionda Elena che indossa con eleganza una tunica scura dai riflessi dorati mentre si abbandona mollemente ad atteggiamenti voluttuosi d’amore con Pantalis poco  prima di evocare la guerra che sconvolgerà Troia.

Brava anche il mezzo soprano Eleonora Filipponi nel ruolo di Marta, l’amica di Margherita. Voce calda e avvolgente per un personaggio sottilmente perverso a cui aggiunge una notevole presenza scenica.

Altrettanto valido è il Wagner  di Paolo Lardizzone. Il tenore unisce ad un buon mezzo vocale un fraseggio autorevole e convincente.

Concludono degnamente il cast la Pantalis del mezzosoprano Shay Bloch e il Nerèo del tenore Vincenzo Tremante.

Nel finale Faust di fronte allo specchio rivede se stesso vecchio in un’immagine che riporta ad un altro mito, quello di Dorian Gray. L’uomo stringe a se il vangelo e si interroga sulle sue esperienze cominciando ad essere assalito dai dubbi comprendendo che “…il real fu dolore e l’ideal fu sogno.”

E’ il momento della resa dei conti. La battaglia suprema tra il bene e il male. E nell’aria “Giunto al passo estremo…” c’è già la presa di coscienza che lo riavvicina a Dio, gli fa guadagnare il suo perdono e nel declamare “Arrestati! Sei bello!” si consegna all’ eternità.

Mefistofele, vinto viene circondato da una schiera di Angeli. Non gli resta che arretrare, rinchiudersi in se stesso e sprofondare negli abissi infernali.

Il risultato è un gran lavoro di sperimentazione capace di mettere la tecnologia a servizio dell’Opera lirica senza mai snaturare il libretto e con un rispetto profondo per l’autore e le sue indicazioni sceniche.

 Cosa di questi tempi rarissima e che rende questo approccio ancora più interessante e meritorio.

Così come è ancora più importante la reazione entusiasta del pubblico che premia l’Opera con una marea di applausi.

Un vero e proprio successo per questa  rappresentazione che si interroga sui grandi dilemmi della natura umana nel modo più spettacolare possibile.

 

Loredana Atzei

La recensione si riferisce alla recita del 14 Ottobre 2022.

 

Leave a Comment