Venezia: Claudia Pavone incanta al Teatro la Fenice

Successo per Claudia Pavone in Traviata al Teatro La Fenice di Venezia

 

 

Dopo l’incendio del ‘96 la terza rinascita dalle ceneri della Fenice avrà inizio con la stagione lirica  nel novembre del  2004, e il titolo prescelto fu proprio Traviata, nella recita diretta da Lorin Maazel con la  regia di Robert Carsen, Patrick Kinmonth per le scene e i costumi, Philippe Giraudeau la coreografia, e Robert Carsen e Peter Van Praet per le luci.

Innumerevoli le riprese di questo capolavoro, a tal punto da classificarla come repertorio proprio del teatro. Si contano oltre 200 recite, nelle quali dive e giovani talenti hanno affrontato questo palcoscenico e questo specifico spettacolo, quasi sempre sold out grazie ad un pubblico che fa di Venezia un punto di riferimento indiscusso della  mondanità e della cultura, e che anche in questa serata non smentisce il clima “bon vivant”.

Nello struggente preludio si intravede un immenso letto: siamo nelle stanze di Violetta, e un’apertura di sipario lentissimo sembra quasi un invito a spiare, verde è il colore che prevale nella scena, quello specifico dei dollari, e delle sale da gioco d’azzardo dalle tappezzerie pregiate. Solo uno spiraglio di luce su di lei, sola, Violetta. In sottoveste, si copre appena con una pelliccia di visone.

Le sfilano davanti alcuni uomini che le porgono delle banconote, e restano a guardarla, come dei voyeur. Sullo sfondo, l’immensa immagine  di un bosco.

Esplode la festa e personaggi piuttosto ambigui invadono lo spazio per un divertimento sfrenato, con  abiti, firmati da Patrick Kinmonth, che rimandano sia gli anni venti del secolo scorso che ai giorni nostri, un folto coro maschile e femminile e qualche comparsa rallegrano l’atmosfera.

L’orchestra segue l’azione senza però darne uno spirito appropriato, il tono è un po’ smorzato; favorisce gli attacchi del coro, sostiene  i solisti ma non accentua né incentiva l’aria festaiola facendo passare il primo quadro quasi  mitigandone i toni.

Alfredo, interpretato da Giulio Pelligra, si presenta alla festa come un fotografo glamour. Per il “libiam” entra di prepotenza da un grande portone laterale un pianoforte a coda bianco e si crea una scena salottiera che enfatizza il personaggio.

Il soprano Claudia Pavone nei panni di Violetta si impone per raffinatezza del fraseggio e la variopinta vocalità, oltre che a una forte presenza scenica. Da subito emergono vocalità e movimenti pervasi da distinti stati d’animo ben chiari al pubblico; si muove nella scena  facendo emergere  lati multiformi, e nell’ aria “sempre libera” sfoggia padronanza e voce cristallina.

Il secondo atto si apre con un immenso pannello che chiude lo spazio scenico in ogni lato, la stessa immagine del bosco già vista in precedenza: tutto è sgombro, a terra del fogliame che, guardando bene, si scopre in realtà sono mucchi di  banconote. Ogni protagonista è sobrio, i colori degli abiti sono tenui, semplici, senza artifizi, lontani dallo sfarzo di Parigi.

Pur se con buona musicalità, Pelligra  ne “dei miei bollenti spiriti” non sforza gli acuti, però manca di “fuoco” che  dal protagonista pretendiamo trovare: gli amanti sembrano fluttuare nello spazio senza realmente percepirsi, e la vastità del palcoscenico non aiuta a creare intimità.

L’arrivo di Germont, padre di Alfredo, porta passato, presente e futuro riuscendo a piegare la giovane donna, che, o per amore, o per  paura di morire, si trasfigura e, rinunciando a una parte di sé, cede alle pesanti richieste dell’uomo.

Spietato, abile e dalla  dizione tagliente il Giorgio Germont di Luca Grassi è il personaggio della sublime  manipolazione emotiva. In ”pura siccome un angelo” colpisce  come una spada e fa cadere a terra Violetta, la Pavone  si accompagna  all’orchestra nel tremolio delle corde ma vibrano anche le sue corde vocali; la  sicurezza comincia a vacillare, ma un nuovo verso come di ripresa la rinvita a rialzarsi: é ormai disperata, e la statualità del padre frantumano la protagonista che si converte a  figlia per il bene di un’altra figlia e i toni si accordano al compianto.

Particolarmente toccante ne “dite alla giovine” e ”piangi o misera” e il pubblico applaude emozionato. Alfredo è dirompente al suo ingresso in questa scena e travolge l’amata con voce incisiva. Lei comincia a piangere mentre  lentamente scendono  foglie secche, fino a crearsi un turbine sempre più forte e inesauribile di dollari:  mentre canta acclamando: ”amami Alfredo!” immobile,  in ginocchio, lui  l’abbraccia con calore.

Il duetto tra padre e figlio viene ahimé  tirato e ritardato  dall’orchestra e questo impedisce a  Pelligra di mantenere lo slancio e la dinamica che aveva trovato all’inizio dell’atto: dimostra rabbia e vendetta che tuttavia vengono smorzate.

Il pathos creatosi viene improvvisamente interrotto da un gioco tecnico-scenografico: si alza il pannello  dipinto (“ella è alla festa”)  e ci troviamo in pochi istanti  catapultati appunto alla festa in stile casinò di Las Vegas.

Una  sfera a specchi scende dalla graticcia e illumina con i suoi riflessi tutto il teatro, un carrello centrale fa uscire  al  centro, un piccolo palco dal  sipario tutto glitterato.

Ancora una volta il  coro irrompe prende posto ai tavoli da gioco, annoiati e pettegoli, con abiti sfarzosi e kitsch.

Violetta in abito nero è accompagnata dall’attempato barone Douphol, interpretato da Armando Gabba  che trasmette sicurezza vocale e scenica, mentre la scena si fa sempre più incalzante e Alfredo e il barone si sfidano a carte.

In quest’atto l’orchestra prende forma e  sottolinea parti strumentali e momenti di tensione: il duetto tra Alfredo e il barone  è accompagnato da  frequenti crescenti.

Lo spettacolo delle zingarelle, altro non è che un mix tra uno show di Las Vegas e uno striptease; cow girl paillettate, con una lunga gonna che da lì a poco sarà strappata e le lascerà in perizoma e calze a rete; esplicitamente sessuali le danze seducenti dei cow boy spogliati (coreografati da Philippe Giraudeau).

L’ambiente è malsano, le luci soffuse soffocano, Alfredo prende di forza Violetta impavido e raccoglie l’attenzione di tutti: con ”questa donna conoscete”, lancia  dei soldi in faccia alla donna, il coro risponde al gesto con sgomento, l’orchestra sfuma solo con l’arrivo del padre: la voce possente viene avvolta dall’orchestra, Alfredo emotivamente cede, ma gli acuti sono chiari e proiettati, il coro mantiene tonalità intense  e vigorose mentre  Violetta oltrepassa ogni vocalità, affranta.

L’ultimo  preludio viene suonato lievemente, il sipario si apre gradualmente e rivela Violetta nella sua stanza, vuota e fatiscente, né comodini né fiori né vasi, ma solo una tenda di plastica, scatole di pittura e un carrello di servizio; l’immagine precedente del bosco è ora rovinata, parzialmente cancellata.

Lei è a terra, in vestaglia nera, tossisce sofferente avvolta nella pelliccia.

Arriva il Dott. Grenvil (un vigoroso e cinico Mattia Denti) che la visita e le promette pronta guarigione, prima di strappare dei soldi dalle mani di una Annina interpretata da Valentina Cotò, la quale, seppur con buona vocalità, risulta un personaggio poco icastico, sempre troppo sommessa.

Con “Addio al passato” la protagonista infine si arrende al suo infausto destino, prendendo coscienza della morte imminente.

Ancora una volta da fuori della sua stanza risuonano canti di festa, è carnevale, gente ubriaca e allegra invade il suo spazio e  irrompono in casa, se ne vanno distruggendo quel poco che ne era rimasto e accentuando ancora di più la fragilità della protagonista.

L’arrivo di Alfredo è la sua ultima speranza, e davanti il pannello disgregato del bosco intonano  la speranza di un ritorno alla vita assieme: con “Parigi, o cara” e grande complicità vocale entrambi si ritrovano ma la luce fredda presagisce qualcos’altro. Violetta viene sorretta  dagli uomini stessi che l’hanno distrutta: padre e figlio.

Ma qualcosa di inaspettato succede: un guizzo improvviso e lentamente le luci delle abat jour del Teatro La Fenice si accendono e al suo grido di gioia dotato di luminosi accenti vocali, il pubblico è di nuovo voyeur. Ma è un’istantanea. Torna il buio, lei muore, e in un gesto di appropriazione Annina le strappa il visone e scappa via.

Dei numerosi comprimari, si impongono dai toni acuti, Cristiano Olivieri (Gastone), Valeria Girardello, (l’edonista Flora), e Matteo Ferrara un preciso e accurato Marchese. Completano il cast Dionigi D’Ostuni (Giuseppe), Umberto Imbrenda (Un domestico di Flora), Antonio Casagrande (Un commissionario).

Pubblico più che soddisfatto, molti i momenti di commozione durante la recita e di applausi a scena aperta. Standing ovation per la Violetta di  Claudia Pavone, qualche boato per Giulio Pelligra che é un Alfredo  un pò fragile per questo genere di regia, e un pò aspro come personaggio verdiano.

Applausi calorosi per l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice diretto da Alfonso Caiani, al Direttore d’Orchestra, Stefano Ranzani.

 

Maggiolen Uscotti

La recensione si riferisce alla recita del 5 ottobre 2023

Foto©TeatroLaFenice

 

 

Teatro La Fenice

La Traviata

Melodramma in tre atti

Violetta Valéry
Rosa Feola (10, 14, 17, 22, 24/ 09)
Claudia Pavone (12, 20/ 09 – 5, 7 , 11, 13/ 10)

 Alfredo Germont
Piero Pretti (10, 14, 17, 22, 24/ 09)
Giulio Pelligra (12, 20/ 09 – 5, 7 , 11, 13/ 10)


Giorgio Germont
Gabriele Viviani
(10, 14, 17, 22, 24/ 09)
Luca Grassi
(12, 20/ 09 – 5, 7 , 11, 13/ 10)

Flora Bervoix  Valeria Girardello
Annina Valentina Corò
Gastone, visconte di Letorières Cristiano Olivieri
Il barone Douphol Armando Gabba
Il dottor Grenvil Mattia Denti
Il marchese d’Obigny Matteo Ferrara

Giuseppe
Cosimo D’Adamo (10, 17, 24/9, 13/10)
Dionigi D’Ostuni (12, 20/9 e 5, 7/10)
Salvatore De Benedetto (14, 22/9, 11/10)

Un domestico di Flora
Nicola Nalesso (10,17,24/9, 13/10)
Umberto Imbrenda (12, 20/9 e 5, 7/10)
Emanuele Pedrini (14, 22/9, 11/10)

Un commissionario
Carlo Agostini (10, 17, 24/9, 13/10)
Antonio Casagrande (12, 20/9 e 5, 7/10)
Enzo Borghetti (14, 22/9, 11/10)

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
direttore Stefano Ranzani
maestro del Coro Alfonso Caiani
regia Robert Carsen
regia ripresa da Christophe Gayral
scene e costumi Patrick Kinmonth
coreografo Philippe Giraudeau
light designers Robert Carsen e Peter Van Praet

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