Tosca – Torre del Lago – 13 Agosto 2022

La Tosca con la regia di Pier Luigi Pizzi, e l’allestimento del Teatro dell’Opera di Roma, funziona e convince il pubblico.

Il regista firma anche le scene e i costumi sottolineando la coerenza estetica in una semplicità dal taglio classico. Bella e quasi esclusivamente funzionale.

Le luci che creano un’atmosfera patinata sono quelle di Massimo Pizzi Gasparon.

 

 

 

L’opera è traslata nel periodo fascista in un’operazione che ha smesso da tempo di essere originale ma che non perde la sua potenza simbolica.

Dietro la storia sentimentale c’è una terribile denuncia al potere assoluto che corrompe  tutto ciò che tocca. Compreso ciò che c’è di più puro. L’amore.

In quest’ottica Tosca è immortale. E poco importa che ci siano i riferimenti a Napoleone.

Persa la sua connotazione di personaggio storico qui assurge a simbolo rivoluzionario contro il potere costituito. Non si fa fatica a immaginare l’Angelotti nei panni di un partigiano. Così come Scarpia è l’esempio perfetto di quel potere feroce che spadroneggia nel ventennio.

E il baritono Roberto Frontali grazie al trucco e ad un uso preciso della gestualità, si trasforma in scena non in un gerarca fascista qualsiasi. La somiglianza con Mussolini è davvero straordinaria ma mai caricaturale.

Quanto a Cavaradossi è un idealista che crede nella rivoluzione e che, solo per stare vicino alla sua donna, accetta di dipingere senza compenso un quadro a tema Biblico.

Un artista perseguitato per le sue idee politiche e che messo di fronte alla scelta di aiutare un uomo che scappa da una condanna ingiusta, non ci pensa due volte ad aiutarlo mettendo in pericolo tutto ciò che ha. Rappresenta quei sentimenti di coraggio e lealtà che caratterizzano gli uomini giusti in ogni epoca.

I  punti di contatto tra La Tosca e il fascismo sono stati messi in evidenza già dal Cinema. Penso al bel film dell’immediato dopoguerra con Anna Magnani per la regia di Carmine Gallone, dal titolo emblematico: “Avanti a lui tremava tutta Roma!”.

Era il 1946 e troppe storie erano finite come quella di Floria e Mario. Impossibile non vedere le analogie.

Soprattutto con la vita del tenore partigiano Nicola Stame, di cui il film sembra ricalcare in modo romanzato le gesta ma assicurando un lieto fine che purtroppo per Stame, come per tanti altri, non c’è stato. Da allora sono state molte le produzioni d’Opera che hanno sviluppato questo tema più o meno bene.

Questa Tosca di Pizzi ricade nelle operazioni riuscite bene.

Nel primo atto campeggia al centro la statua della Pietà di Michelangelo. Dietro di lei incombe la Cupola di San Pietro che sarà presente fino alla fine quasi a sottolineare le responsabilità del potere temporale della Chiesa durante il periodo.

La luna piena che si staglia dietro il cupolone ha aggiunto un elemento coreografico alla scena.

Il taglio è cinematografico, la recitazione dei cantanti spontanea.

Si assiste ad una rappresentazione filmica, con una fotografia raffinata, dove dominano il bianco e il nero come nelle pellicole d’epoca.

E’ il periodo dei film detti “dei telefoni bianchi”, ma c’è spazio anche per una strizzatina d’occhio al cinema hollywoodiano con Tosca che nel finale veste panni maschili alla Marlene Dietrich.

Una bellezza che Tamara De Lempicka avrebbe sicuramente dipinto.

E per un momento, sul finire del primo atto, dopo la frase pronunciata da Tosca: “Dio mi perdona egli vede ch’io piango…” sembra persino che la musica di Puccini si fonda con lo stile degli anni ‘30 a formare una perfetta simbiosi.

Ma sono tanti i momenti in cui la Direzione musicale riesce a far emergere questa grande modernità della musica di Puccini.

A dirigere l’ Orchestra del Festival Puccini il M° Enrico Calesso, capace di trattare la partitura con la giusta sensibilità imprimendo un ritmo scorrevole e dinamico, marcando con decisione i momenti drammatici e soffermandosi sui momenti lirici con partecipazione. Si sente una direzione a disposizione dei cantanti, mettendoli a loro agio e sostenendoli con attenzione e cura. I tempi leggermente dilatati per l’esecuzione orchestrale all’inizio dei tre atti, ma anche all’interno dell’Opera come nell’esempio precedente, acuiscono il senso filmico sottolineando l’azione. Un accompagnamento orchestrale che si incolla perfettamente alla recitazione e al canto valorizzandolo.

I protagonisti sono convincenti.

I difetti, quando ci sono, sono abbondantemente superati dai pregi.

Il soprano Svetlana Aksenova dosa sapientemente un mezzo vocale che non ha la corposità richiesta sfruttando al massimo l’espressività e un notevole e saldo registro acuto. Nonostante qualche imperfezione nei centri fornisce una prova notevole per intensità e capacità di emozionare il pubblico. Il suo Vissi D’arte risuona commovente come un atto di dolore intimo, una richiesta disperata a Dio, con un finale in pianissimo e un’interpretazione toccante. Ottima poi la presenza scenica. Sia che indossi un semplice vestito bianco per la scena in Chiesa, o il vestito da sera, o ancora gli abiti maschili, le sue movenze sono sempre quelle di una Diva. Sempre misurati i gesti, i portamenti, gli sguardi. Ora innamorata, ora gelosa, ora disperata o sprezzante. Interiorizza il personaggio e lo porta in scena fino alla fine quando con un balzo felino si getta nel pozzo ( che sostituisce il volo da Castel Sant’Angelo).

Il tenore Ivan Magri ha timbro solare, una voce proiettata in avanti e un bello squillo, pulito e sostenuto a lungo. Nel duetto di “Recondita armonia…” la voce all’inizio balla un po’, d’altra parte c’è sempre il rischio di entrare a freddo e confrontarsi con quella che non è esattamente uno “scalda voce”. Ma tolta questa prima piccola défaillance la sua prestazione è tutta in crescendo.  Il fraseggio è corretto, le intenzioni sono rispettate e l’interpretazione efficace. Anche nel suo caso le doti recitative potenziano l’interpretazione vocale. Il duetto con Tosca nel primo atto è talmente ben studiato per movenze, occhiate e tempismo che il pubblico si diverte come se si trovasse di fronte ad una Sophisticated Comedy.

Commedia che però lascia ben presto spazio al dramma nel secondo atto dove Cavaradossi viene trascinato a forza dai camerati e sottoposto all’interrogatorio prima, e alla tortura poi.

Il suo “Vittoria” è splendente e rabbioso.

L’ angoscia di Tosca è palpabile mentre gli sgherri di Scarpia lo trascinano via.

Il suo “Lucevan le stelle…” è il grido disperato di chi sta per morire. Il legato interrotto non pregiudica una interpretazione drammatica di grande spessore.

Per lui applauso meritatissimo a scena aperta.

Il Barone Scarpia è interpretato in maniera davvero magistrale da Roberto Frontali che cesella finemente il personaggio con un’interpretazione superba. Ogni frase è incisiva, piena di colori e sfumature.

La trasfigurazione in Mussolini è così straordinaria che nel canto sembra addirittura di sentire le inflessioni vocali del Duce.

Esempio della deriva di un potere assoluto che tutto può, e tutto vuole, lo Scarpia di Frontali incarna in modo sublime il sadismo, la cupidigia, e la violenza.

Voce salda, timbro brunito, un declamato nobile arricchito da un fraseggio insinuante, subdolo, lascivo.

Una presenza la sua che incute panico sin dal suo ingresso con quel “Un tal baccano in Chiesa” che agghiaccia di terrore il Sacrestano e che zittisce i piccoli balilla e figlie della lupa che scherzano intorno a lui, simbolo ancora di quel legame stretto esistente nel ventennio lega tra Chiesa e Dittatura, e delle responsabilità di entrambi nell’indottrinamento delle nuove generazioni.

Anche qui, come nella Turandot del 12 Agosto, sono presenti gli allievi della Puccini Festival Academy che, oltre ai corsi di perfezionamento, offre ai suoi studenti la possibilità di mettere a frutto sul palco ciò che hanno imparato.

Tra gli insegnanti il Vocal Coach Massimo Iannone e Silvia Gasperini  con i corsi di studio dello spartito: i risultati sono lodevoli. Si sente dietro queste voci un grande lavoro sulla tecnica di emissione, oltre che sull’interpretazione. Va dato merito al Teatro di aver creato un buon vivaio di giovani talenti.

Quindi, a garantire la buona riuscita della recita contribuisce, e non poco, il nutrito gruppo di caratteristi.

Ad interpretare il pavido Sagrestano il bravo Giulio Mastrototaro, baritono specializzato in ruoli da buffo. Ricordiamo che la sera prima è stato Ping nella Turandot. Ottima presenza scenica e una voce espressiva. Mimica curata nei dettagli.

Angelotti è interpretato dal baritono William Corrò con voce ferma e fraseggio scrupoloso, per continuare con il puntuale Spoletta di Shohei Ushiroda, lo Sciarrone roboante e dal timbro caldo di Alessandro Ceccarini e il carceriere interpretato con voce profonda e incisiva da Ivan Caminiti entrambi dotati di notevole presenza scenica .

La recitazione di tutti è perfetta. Gli sguardi, i gesti, il portamento.

Bellissima la scena nel preludio al terzo atto con l’utilizzo del suono delle campane del circondario ad unire idealmente la Roma di Tosca con Torre del lago, il luogo amato da Puccini. Dal fondo si palesa il canto preciso e armonioso del pastorello di Carola Finotti.

Da una botola fuoriesce Sciarrone che si accende la sigaretta seguito presto da tutti gli altri camerati ben presto avvolti dal fumo. Una scena esteticamente appagante.

La fucilazione è di grande impatto. Il forte rumore dei fucili che esplodono all’unisono accompagnati dalla fiammata che fuoriesce dalle canne costituiscono un momento drammaturgico perfetto e gli eventi successivi scorrono concitati e potenti fino al salto nel vuoto di Tosca che chiude la storia.

Un lavoro corale che viene accolto dal pubblico con una vera standing ovation.

Un successo quindi per questa Tosca bella come l’Opera, avvincente come un film.

 

Loredana Atzei

La recensione si riferisce alla recita del 13 Agosto 2022

Photo©LorenzoMontanelli

Tosca-Torre del Lago 2022

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