Il teatro ai tempi del virus visto da Marco Tutino

Incontriamo lo stimato compositore Marco Tutino in questo periodo di chiusura dei Teatri. Il tempo del Coronavirus, quello in cui nessuna nota risuona più in Teatro.

Condividiamo con voi il suo pensiero, sulle difficoltà del comparto musicale ed artistico azzittito dal “lockdown”.

 

Milano, 20 aprile 2020

Noi, che viviamo per stare su un palcoscenico e mischiare sudore, saliva e lacrime ogni volta che lavoriamo. E voi, quelli che ci guardano farlo, seduti a contatto di gomito, a tiro di tosse e starnuto. E tra noi e voi, loro, quelli che suonando ci fanno volare assieme.

E gli altri, invisibili, ma che questo lavoro che si chiama spettacolo dal vivo consentono di praticarlo: chi scrive musica, chi scrive parole, chi ci dice cosa fare in scena, chi le disegna, le scene, e chi ci insegna la parte, e chi dietro le quinte ci avverte quando entrare, chi accende le luci, chi muove la scena, chi redige un contratto, chi risponde al telefono. Per non parlare di chi ci aiuta a comunicare, a chi diffonde il nostro lavoro ovunque, a chi parla coi media, a chi ci riprende mentre lo facciamo. A chi ci critica.

E poi, tutte quelle moltitudini di persone che nella vita lavorano il legno, il ferro, la plastica, con i quali costruire tutti quei meravigliosi mondi che ci ospitano, e chi questi mondi li trasporta, e chi ha il ristorante vicino al teatro, o chi gestisce l’albergo ancora più vicino…. e così via, in una catena infinita di relazioni professionali e umane tutte interdipendenti e connesse. Allora, tutti noi, tutte queste persone e le loro famiglie, quando sarà chiaro che la ragione per la quale alla fine si poteva vivere decentemente, senza scialare, ma insomma condurre una esistenza normale e anche felice perché connessa con la bellezza e la sapienza accumulata dal nostro esserci come genere umano, insomma tutti noi che faremo, se qualcuno ci dirà che questa ragione non è più valida? Che non si può più praticare questo mestiere? Davvero lo accetteremo, davvero non penseremo a come reagire, e soprattutto finalmente a riconoscere che siamo una famiglia e che forse è venuto il momento di stare assieme, e di escogitare un modo per sopravvivere?
Perché questo potrebbe succedere. Forse non ora, forse è una minaccia solo rimandata, l’ipotesi che questa strana malattia, che sembra fare più danni ai sani e ai sopravvissuti, possa cancellare il nostro lavoro.
Non aspettiamo che accada, perché sarà troppo tardi.

Dalle letture che l’uomo occidentale ci consente di consultare, e che parlano della sua storia, una cosa sempre emerge come un leit motiv sotterraneo e quasi scontato: dalle difficoltà si emerge traendone le possibili opportunità. In altre parole, sfrutta la forza dell’avversario per farlo cadere, come nelle mosse dello judo.
Come si fa, nel nostro caso? Intanto, forse, cominciamo a mettere ordine in questo mondo così minacciato, perché farci trovare mal preparati alla battaglia è una sciocchezza. Quale occasione migliore, per riscrivere le regole che ci governano, e che palesemente non hanno funzionato. Quale occasione migliore per fare pulizia.

Ecco la prima mossa di judo. E dunque, tutti assieme, riuniti in famiglia, riscriviamo la nostra costituzione teatrale: ma che sia aggiornata al presente, che non sia scritta per proteggere privilegi solo di qualcuno. Una Carta del Teatro, immaginata per durare, e per farci durare. Perché le regole di adesso sono scritte per farci soccombere. Una sostituzione teatrale che sia pensata per difendere i più fragili, non per garantire i più forti. Che sia immaginata per consentirci di affrontare gli imprevisti e quindi che ci renda elastici, non rigidi. E soprattutto che ci riconosca il nostro ruolo sociale, e la dignità del nostro lavoro.

Seconda mossa di judo: basta con gli incompetenti. Chi ha ruoli di responsabilità dirigenziale, non può non sapere cosa sia una partitura, una voce, una scena, un bilancio, e una politica di marketing. Non ce ne sono tanti? Pazienza, inventiamo delle scuole per formarli e intanto cerchiamo bene che qualcuno c’è. Basta con gli incompetenti perché non si è mai visto che il capofamiglia non appartenga alla famiglia. O sbaglio?
Terza mossa di judo. Aprire gli occhi sul futuro. Noi lavoriamo in luoghi costruiti nella maggior parte quasi tre secoli fa, e mettiamo in scena opere in grandissima parte vecchie di uno/due secoli. Per carità, anche quelle servono, ma… davvero non c’è più niente da dire? Perché se è così, come li convinciamo i giovani che siamo utili? Cos’è, gli facciamo il discorso che la cultura serve per crescere? Vero. Ma non basta. O la smettiamo di dare per scontata la nostra importanza di guardiani di un museo, oppure non sarà un virus a estinguerci, ma la realtà. Il nostro mestiere contempla anche il dovere di renderci utili adesso, e di spiegare bene il motivo di questa utilità attraverso ciò che rappresentiamo sui palcoscenici. Altrimenti siamo solo dei sopravvissuti, ma allora al primo vento di crisi soccombiamo, esattamente come sta accadendo ora. Mobilitiamo le nostre intelligenze per dimostrare che il Teatro, di prosa o in musica, è vivo e ci parla di noi, oltre che del passato.
Quarta mossa di judo. Imparare a comunicare, una volta scelto cosa va comunicato, se un oggetto del ‘700, dell’800, del ‘900 o del 2000. È un mestiere, vi do questa notizia. È ora di finirla di mettere in quell’ufficio un violinista con la tendinite, o un danzatore con l’ernia. Non si improvvisa. Soprattutto oggi, in un mondo così complesso e digitale.

Quello che sto dicendo, insomma, è che lottare per la propria sopravvivenza non può essere solo affidato alla voglia di esserci ancora. Lottare significa inventare strategie applicabili ai cambiamenti sociali in divenire, ma senza avere i conti in regola, e gli strumenti adatti, non si va da nessuna parte. Sarà inutile lamentarsi di ogni tsunami che minaccerà di sommergere l’esistenza dello spettacolo dal vivo, se quest’ultimo annaspa anche in una pozzanghera. Nessuno la capirà, la ragione della nostra esistenza. E nessuno potrà spiegarla, se non noi, questa famiglia. Ma con la casa pulita e in ordine e la coscienza a posto.

Marco Tutino       

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