Storia dell’Opera: C.W. Gluck e la riforma del melodramma

La Riforma del Melodramma di C.W. Gluck

Settima Puntata .

Si è spesso collegato il nome di Gluck alla riforma del melodramma attuata nel tardo Settecento, ma Gluck, sebbene sia la punta di diamante di questo movimento di riforma, non ne è l’unico rappresentante. L’opera nel suo progressivo cammino, si è sempre e costantemente rinnovata; ogni compositore ha aggiunto un tassello, un particolare, che faceva sì che l’opera non fosse mai simile a se stessa. Senza nulla togliere all’importanza di Gluck nella storia dell’opera, desideriamo solamente ridimensionare questa sua posizione di unico perché assolutamente inesatta. Segni di rinnovamento, anche se non vistosi, erano compresi nelle opere di Hasse e di Graun, mentre molto innovativi appaiono i lavori teatrali degli ultimi Nicolò Jommelli (1714-1774) e Tommaso Traetta (1727-1779).

 

La Riforma del Melodramma di C.W. Gluck
Niccolò Jommelli
La Riforma del Melodramma di C.W. Gluck
Tommaso Traetta

Il percorso musicale di questi due compositori è per così dire parallelo; nelle loro opere si sente un linguaggio internazionale che guarda soprattutto all’operismo francese. Questa è sicuramente una novità perché fino ad ora nessun musicista guardava ad altri stili. In qualsiasi luogo si trovasse a comporre, lo stile non subiva nessuna influenza esterna. Le opere di Jomelli, molte su libretto di Metastasio coprono un periodo che va dal 1740 al 1774 ed evidenziano molti aspetti nuovi. Un esempio è la chiusura d’atto: anziché un’aria troviamo un duetto o, fatto ancora più nuovo, un terzetto; il recitativo è particolarmente curato; sempre più frequente è la presenza del recitativo accompagnato a scapito di quello con il solo basso continuo; sempre più spesso l’aria, liberata dagli schemi formali che la irrigidivano, si congiunge al recitativo senza così interrompere l’azione. Lo stesso discorso è applicabile anche alla produzione di Traetta dove è ancor più avvertibile l’avvicinamento allo stile francese. Lo testimonia la presenza di libretti, con una certa attenzione al gusto spettacolare ed un certo descrittivismo orchestrale ad imitazione della natura. Di derivazione francese è anche l’importanza che viene data al coro, pressoché inesistente nell’opera seria italiana. In questo senso l'”Ifigenia in Tauride” (1762 ) di Traetta presenta scene corali che anticipano di vent’anni quelle che Gluck scriverà nella sua “Ifigenia”.

Ecco dunque come due compositori sostanzialmente legati alla tradizione dell’opera italiana, Jacomelli e Traetta, si sono dimostrati sensibili alla ricerca di nuovi aspetti che rendessero più varia l’opera ormai troppo legata a quelle convenzioni che ne avrebbero decretato la definitiva decadenza. La figura di Christoph Willibald Gluck (1714-1787) si inserisce quindi in una sorta di generale, anche se a volte non consapevole, situazione di cambiamento, della quale Gluck è stato quasi certamente uno dei più eminenti fautori. Osannato in epoca romantica, giudicato invece un ignorante in fatto di contrappunto dai suoi contemporanei, Gluck fa convivere convenzione e spirito innovativo.

La Riforma del Melodramma di C.W. Gluck
C.W. Gluck

Nella prefazione all’Orfeo ed Euridice, (1762) scritta a Vienna in collaborazione con il librettista Ranieri de’ Calzabigi, Gluck esplicava la sua poetica espressiva: riportare la musica all’aderenza con il dramma, sfrondandola da orpelli inutili imposti dalla moda e dal divismo dei cantanti; introdurre recitativi ariosi che non interrompevano l’incidere drammatico, mentre le stesse arie dovevano ammantarsi di sobrietà nel canto ed essere strettamente ispirate alla situazione drammatica. Gli anni che hanno preceduto “Orfeo” e quelli immediatamente successivi furono caratterizzati da lavori improntati ad una certa convenzionalità, se si escludono il brillante atto unico “Le cinesi” del 1754 e “Les pelerins de la mecque” del 1764, la prima costruita ancora con numeri chiusi, la seconda in un perfetto stile d’opéra-comique francese. Il 1767 è l’anno di “Alceste”, opera nella quale il linguaggio avviato con “Orfeo” trova pieno compimento. L’opera successiva, “Paride ed Elena” del 1770, scritta ancora in collaborazione con Calzabigi, non ebbe un particolare successo, così Gluck decise di recarsi a Parigi dove regnava Maria Antonietta che era stata sua allieva. L’impatto con il mondo musicale parigino portò alla creazione di opere quali “Iphigénie en Aulide” (1774), la revisione in francese di “Alceste” (1776), “Armide” (1777) e “Iphigénie en Tauride” (1779). Questi lavori nacquero però tra aspre polemiche: gli avversari di Gluck (un po’ come era avvenuto ai tempi di Rameau) gli opposero l’italiano Niccolò Piccinni (1728-1800) che era diventato celebre con “La buona figliola” (1760).

La Riforma del Melodramma di C.W. Gluck
N. Piccinni

Piccinni, quasi inconsapevolmente, si trovò coinvolto in questa battaglia artistica dalla quale ricevette solo umiliazioni. Anche Gluck, amareggiato inoltre dall’insuccesso della sua ultima opera “Echo et Narcisse” (1779), abbandonò Parigi. Guardando alla produzione parigina di Gluck si vede come a due opere riformate come “Iphigénie en Aulide” e la revisione di “Alceste” segue “Armide” una partitura improntata allo stile della tragédie-lyrique, ispirata in particolare ad un’altra celebre “Armide”, quella di Lully. Con “Iphigénie en Tauride”, Gluck torna nuovamente sui suoi passi compiendo quello che è il passo decisivo verso la sua riforma dell’opera. Il recitativo è pressoché scomparso ; ora vi sono ampie scene drammatiche, interrotte da ariosi, mentre le arie vere e proprie non hanno più una forma definitiva e sfuggono ad ogni sorta di tipologia; il canto, specie quello di “Ifigenia”, carico di una nobile emotività, si fa espressione di sentimenti di pregnante umanità.

Alla prossima…

Leave a Comment