Una “Norma” tribale per la Fenice di Venezia: standing ovation a Mariella Devia.

Norma, giustamente considerata una delle opere fondamentali del melodramma italiano dell’Ottocento, alla sua prima, la sera del 26 dicembre 1831, per una concomitanza di fattori, compresa la stanchezza nervosa degli interpreti, fece registrare un parziale insuccesso.

Le cose cambiarono nelle serate successive che videro, nel corso di 34 rappresentazioni, il pubblico della Scala trascinato da un entusiasmo crescente.

La storia racconta di due sacrileghe trame d’amore fra due vergini sacerdotesse del dio Irminsul e un Proconsole Romano, Pollione, il quale, dopo aver dato due figli alla sacerdotessa Norma, seduce la giovane Adalgisa e trama per portarsela a Roma contro la sua volontà.

In un primo tempo Norma di fronte al tradimento dell’amante, decide di uccidere i loro due figli, ma poi finisce di sacrificarsi per salvarlo.

Il compositore, ai primi del 1831, avendo l’incarico per un’opera nuova che aprisse la stagione alla Scala di Milano, con il suo librettista di fiducia, cominciò a cercare un soggetto che affascinasse il pubblico, ma che si adattasse perfettamente sui cantanti che aveva a disposizione.
La scelta cadde su un lavoro teatrale appena rappresentato: la tragedia di Alexandre Soumet, “Norma ou l’infanticide”, che era andata in scena, con grande successo, al Théâtre Royal de l’Odéon di Parigi.

Bellini e Romani rimaneggiarono i temi che rendevano romantica la storia, mantenendola però nei binari della tradizione classica che risaliva all’antica tragedia greca. Caricarono la trama di maggiori elementi rituali che i Celti officiavano nella sacra foresta druida, avvicinarono al pubblico il tema della sacerdotessa che infrange per amore i suoi voti, tema in voga nel primo Ottocento, modificando il finale.

Nel dramma del francese Norma compie l’infanticidio e si getta, impazzita per il rimorso, dall’alto di una rupe, mentre nella sua Norma, Bellini fa in modo che la generosità d’animo di Norma ne faccia un’eroina.

Norma

La rappresentazione a cui abbiamo assistito sabato 27 agosto al Teatro La Fenice di Venezia ha stupito per la sua messa in scena, moderna ma allo stesso tempo con rimandi alle tribù africane ove infatti era ambientata.

Cast d’eccellenza per questa Norma veneziana che ha visto nei ruoli principali nomi di spicco del panorama lirico: Pollione, Roberto Aronica; Norma, Mariella Devia;  Oroveso, Simon Lim; Adalgisa, Roxana Constantinescu.

Sin dall’inizio dell’overture ci si è resi conto che i tempi scelti dal direttore d’orchestra Daniele Callegari erano forse un po’ troppo veloci infatti, nel corso dell’opera, molte sono state le difficoltà che i cantanti hanno dovuto superare : fiati velocissimi e cantabili un po’ troppo veloci con tempo serratissimo.

In più di qualche momento la meravigliosa musica belliniana è diventata dunque una specie di marcetta, cosa ormai consueta nelle esecuzioni odierne, quando invece la musica di  “Bellini” andrebbe assecondata proprio in quei cantabili unici di cui la sua musica è costituita per non rischiare di scadere in questi effetti.

Detto questo, nulla però è ascrivibile ai cantanti che hanno mandato letteralmente in delirio il pubblico della Fenice alla fine dell’opera; standing ovation alla “signora del bel canto” Mariella Devia , che dall’alto della sua grandissima esperienza ha affrontato questo ruolo in maniera eccelsa in qualsiasi momento.

Ottima la sua interpretazione, a scapito dei molti che la ritengono “fredda”, del “Casta Diva” e delle altre arie e cabalette dell’opera; bellissimo il duetto finale con Adalgisa ed ottimo quello con Pollione.

NormaAnche quest’ultimo personaggio, interpretato da Roberto Aronica, stupisce per la presenza scenica, e non solo: la sua voce risuona in ogni parte del teatro sempre con squillo e mai con una defaillance.

La Adalgisa di Roxana Constantinescu, in generale gradevole, ha avuto però qualche problema nel registro acuto e, a nostro parere, canta sempre sul forte, modulando poco la voce e risultando così monotono e poco espressiva.

Simon Lim, nei panni di Oroveso, regala un sacerdote dalla voce calda e profonda, con ottima dizione ed interpretazione.

Completano il cast Clotilde Anna Bordignon, Flavio Antonello Ceron.

NormaNell’insieme uno spettacolo che si ricorderà negli anni: il nuovo allestimento della Fondazione Teatro La Fenice  progetto speciale nel 2015 della 56 Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, con la regia, scenografia e costumi di Kara Walker  ha fatto centro, riscuotendo molti apprezzamenti dal pubblico che ha riscontrato nella sua regia pochissimi interventi, lasciando liberi i cantanti sul palco ed ottenendo un risultato che si è avvicinato molto alla forma di concerto, dove i cantanti sono al centro del palco senza le scene e senza movimenti, il tutto arricchito da bellissime proiezioni sui fondali che richiamano la foresta  e la civiltà tribale, e con installazioni fisse sulla scena che fungono da rupi da cui si scorge un volto stilizzato.

normaBelle le luci curate da Vilmo Furian che in uno spettacolo del genere risultano efficaci e ben pensate.

Ottima come sempre la performance sostenuta dal Coro del Teatro La Fenice di Venezia come pure l’Orchestra che ha dato prova di grande esperienza.

di Salvatore Margarone e Federico Scatamburlo

Si replica il 4/14/18 settembre 2016.

Foto Fondazione Teatro La Fenice ©Michele Crosera

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