L’Inno d’Italia, questo sconosciuto.

L’Inno d’Italia, questo sconosciuto.

Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli. 

Dal Risorgimento Italiano arriva l’Inno d’Italia

Le cinque strofe poco conosciute

 

Nel periodo che stiamo attraversando, devastato da un virus che non accenna ad allentare la morsa e che ci costringe ancora oggi, a distanza di un anno, a continuare a modificare le nostre vite, le nostre abitudini, che non ci permette di vivere la socialità a cui eravamo abituati, siamo orientati a trovare il giusto equilibrio per districarci tra divieti e colori.

Proprio i colori hanno ispirato l’idea per questo articolo, nel quale descriveremo l’Inno d’Italia scritto da Goffredo Mameli, patriota italiano, che ebbe la meglio quando si dovette scegliere un inno nazionale che rappresentasse la nostra nazione. Un po’ tutti sanno che fra i testi presentati all’epoca vi era anche il noto coro dal Nabucco di Giuseppe Verdi, Va’ pensiero, il quale, pur essendo già all’epoca molto famoso, non riuscì ad imporsi come brano ufficiale. Vero è che in molti si riconoscono di più in questo ultimo componimento, anche perché proprio Verdi fu protagonista indiscusso del nostro Risorgimento Italiano, ma per motivazioni tutte politiche si scelse la composizione di Mameli, che al tempo era sicuramente meno conosciuto del grande Verdi.

In molti, ancora oggi, non conoscono il testo dell’Inno di Mameli, ed in molti non sanno che il testo completo del componimento non è di una sola strofa ma bensì di cinque.

Proprio dalle difficoltà che l’Italia si trova a dover affrontare in questo momento vorremmo divulgare maggiormente proprio il testo dell’Inno: leggendolo ci si accorgerà che alcune strofe, mai come in questo momento, risultano quasi “profetiche”.

Mameli scrisse il poemetto nel 1847, due anni prima di morire, ma in seguito fu musicato da Michele Novaro. Entrambi genovesi di nascita, Goffredo Mameli (1827-1849) fu un attivo combattente sul campo e capitano nell’esercito di Giuseppe Garibaldi, compose molti canti patriottici fra cui il sonetto A Carlo Alberto, le odi Ai fratelli Bandiera e Dante e l’Italia, le cantiche La battaglia di MarengoLa buona novella, mentre Michele Novaro (1818-1885), anch’esso attivo nel Risorgimento e sostenitore di G. Garibaldi, lo si ricorda per la raccolta di fondi ed aiuti economici da destinarsi alle imprese garibaldine. Trasferitosi in seguito a Torino, Novaro proseguì nella sua vocazione musicale come corista e maestro di cori al Regio ed al Carignano e continuò a scrivere inni e canti patriottici.  Originariamente Mameli intitolò il poemetto “Canto degli Italiani”, ma dalle prime parole “Fratelli d’Italia” ne prenderà in seguito definitivamente il nome. Oggi lo conosciamo anche come l’Inno d’Italia.

Solo nel 2017 è stato dichiarato Inno Nazionale, ben 71 anni dopo la nascita della Repubblica Italiana, in quanto nel 1946 fu utilizzato provvisoriamente per rappresentare la nazione.

Goffredo Mameli
Goffredo Mameli

 

 

Michele Novaro
Michele Novaro

 

Se ad esempio leggiamo la seconda strofa, si esorta proprio all’unità nazionale del popolo,  una chimera ai giorni nostri, visti i comportamenti dei nostri politici, ma per comprendere meglio questo, diamo una lettura al testo completo.

 

Fratelli d’Italia,
L’Italia s’è desta;
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma;
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.

Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
L’Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme;
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.

Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
L’Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci;
L’unione e l’amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natio:
Uniti, per Dio,
Chi vincer ci può?

Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
L’Italia chiamò.

Dall’Alpe a Sicilia,
Dovunque è Legnano;
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core e la mano;
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla;
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.

Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
L’Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute;
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia
E il sangue Polacco
Bevé col Cosacco,
Ma il cor le bruciò.

Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
L’Italia chiamò.

 

Come si evince, il testo del poema è formato da cinque strofe in quartine e da un ritornello.

Proviamo a capirci qualcosa in più: nato in un clima di fervore patriottico che preludeva alla guerra contro l’Austria, l’inno presenta numerosi riferimenti storici del passato, che richiedono però una lettura attenta e circostanziata per una più corretta comprensione del testo.

Ecco le spiegazioni, strofa per strofa.

 

Fratelli d’Italia

L’Italia s’è desta,

Dell’elmo di Scipio

S’è cinta la testa.

Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano (253-183 a. C.), fu il generale e uomo politico romano vincitore dei Cartaginesi e di Annibale nel 202 a. C. a Zama (l’attuale Algeria); la battaglia decretò la fine della seconda guerra punica, con la schiacciante vittoria dei Romani. L’Italia, ormai pronta alla guerra d’indipendenza dall’Austria, si cinge figurativamente la testa dell’elmo di Scipione come richiamo metaforico alle gesta eroiche e valorose degli antichi Romani.

 

Dov’è la Vittoria?

Le porga la chioma,

Ché schiava di Roma

Iddio la creò.

Si riferisce all’uso antico di tagliare i capelli alle schiave per distinguerle dalle donne libere; queste ultime, per sottolineare il loro stato, erano solite tenere i capelli lunghi. La dea Vittoria rappresentata come una donna dai lunghi capelli, dovrebbe quindi porgere la chioma perché le venga tagliata in segno di sottomissione a Roma: il senso della quartina è la certezza di Mameli che, in caso di insurrezione contro gli austriaci, la Vittoria non potrà che essere degli italiani perché è il destino che così vuole.

 

Stringiamoci a coorte

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò.

La coorte era un’unità da combattimento dell’esercito romano, composta da 600 uomini: era la decima parte di una legione. “Stringiamci a coorte” vuole dunque essere un’esortazione a presentarsi senza indugio alle armi, a rimanere uniti e compatti, disposti a morire, per la liberazione dall’oppressore straniero.

 

Noi siamo da secoli

Calpesti, derisi,

Perché non siam popolo,

Perché siam divisi.

Raccolgaci un’unica Bandiera,

una Bandiera di fonderci insieme

Già l’ora suonò.

Stringiamoci a coorte

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò.

Si tratta di un richiamo al desiderio di raccogliersi sotto un’unica bandiera: speranza (speme) di unità e di ideali condivisi per un’Italia, quella del 1848, ancora divisa in sette Stati (Regno delle due Sicilie, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo-Veneto, Ducato di Parma, Ducato di Modena).

 

Uniamoci, amiamoci,

l’Unione, e l’amore

Rivelano ai Popoli

Le vie del Signore;

Giuriamo far libero

Il suolo natìo:

Uniti per Dio

Chi vincer ci può?

Stringiamoci a coorte

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò.

Mameli era un mazziniano convinto e in questa strofa interpreta il disegno politico del fondatore della “Giovine Italia”: quello di arrivare, attraverso l’unione di tutti gli Stati italiani, alla realizzazione della repubblica. “Per Dio” è un francesismo e non un’imprecazione, che significa “attraverso Dio”, “da Dio”, qui inteso come sostenitore dei popoli oppressi. Dall’Alpi a Sicilia, Dovunque è Legnano. La battaglia di Legnano, del 1176, è quella in cui la Lega Lombarda, al comando di Alberto da Giussano, sconfisse Federico I di Svevia, il Barbarossa. A seguito della sconfitta l’imperatore, sceso in Italia per affermare la sua autorità, fu costretto a rinunciare alle sue pretese di supremazia; scese dunque a patti con le città lombarde, con cui stipulò una tregua di 6 anni, a cui seguì nel 1183 la pace di Costanza in cui dovette riconoscere le autonomie cittadine.

 

Ogn’uom di Ferruccio

Ha il core, ha la mano,

Si fa riferimento all’eroica difesa della Repubblica di Firenze che tra il 12 ottobre del 1529 e il 12 agosto del 1530 venne assediata dall’esercito imperiale di Carlo V d’Asburgo. Nel corso dell’assedio, il capitano Francesco Ferrucci venne ferito a morte, e finito da Fabrizio Maramaldo, un capitano di ventura al soldo dell’esercito imperiale, il cui nome è diventato sinonimo di “vile” e al quale Ferrucci rivolse le parole “Tu uccidi un uomo morto”. Il 12 agosto i fiorentini firmarono la resa che li sottometteva nuovamente ai Medici.

 

I bimbi d’Italia

Si chiaman Balilla,

Il richiamo a tutte le genti d’Italia è al valore e al coraggio del leggendario Balilla, il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese: si tratta del soprannome del fanciullo, forse un certo Giambattista Perasso, che il 5 dicembre 1746 scagliò una pietra contro un ufficiale, dando l’avvio alla rivolta che portò alla liberazione della città

 

Il suon d’ogni squilla

I Vespri suonò.

Stringiamci a coorte

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò.

“Il suon d’ogni squilla” significa “il suono di ogni campana”. L’evento cui fa riferimento Mameli è quello dei “Vespri Siciliani”: nome dato al moto per cui la Sicilia insorse dopo 16 anni di dominio angioino (francese) e si diede agli aragonesi (spagnoli). All’ora dei vespri del lunedì di Pasqua del 31 marzo 1282 tutte le campane si misero a suonare per sollecitare il popolo di Palermo all’insurrezione contro i francesi.

 

Son giunchi che piegano

Le spade vendute:

Già l’Aquila d’Austria

Le penne ha perdute.

Il sangue d’Italia,

Il sangue Polacco,

Bevé, col cosacco,

Ma il cor le bruciò.

Stringiamci a coorte

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò.

L’Austria degli Asburgo (di cui l’aquila bicipite era il simbolo imperiale) era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie di cui erano piene le file dell’esercito imperiale) e Mameli chiama un’ultima volta a raccolta le genti italiche per dare il colpo di grazia alla dominazione austriaca con un parallelismo con la Polonia. Tra il 1772 e il 1795, l’Impero austro-ungarico, assieme alla Russia (il “cosacco”) aveva invaso la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi, l’italiano e il polacco, può trasformarsi in veleno attraverso la sollevazione contro l’oppressore straniero. ( fonte: focus.it) 

L’Inno che conosciamo tutti invece è composto solo dalla prima strofa e dal ritornello, e conclude con un fragoroso “”. Chissà se in qualche occasione avremo l’opportunità di ascoltarlo nella sua interezza. Che effetto ci farebbe…

A questo punto non ci resta che riflettere su queste parole, ritrovare in esse l’orgoglio italiano ed il patriottismo di un tempo e che nel tempo abbiamo forse un po’ perso per strada.

Magari sarebbe utile che lo leggessero anche i nostri attuali governanti, forse li riporterebbe sulla retta via. Chissà se sono a conoscenza che è composto da cinque strofe!

 

bandiera-tricolore-italiana

Salvatore Margarone

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